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Blog di Ottavio Giorgio Ugolotti Autore

Blog di Ottavio Giorgio Ugolotti Autore

Genova, il dialetto, libri, racconti, poesie, il teatro popolare e dialettale, scultura, auto-produzione.Tutti i testi in dialetto saranno presto liberi di essere utilizzati e accessibili come da desiderio di papà Ugolotti che ha lasciato questa preziosa eredità da condividere e vivere. (questo blog è gestito da Simona Ugolotti)


Quinte di bimba (racconto)

Pubblicato da ugolotti ottavio giorgio su 19 Marzo 2011, 08:23am

Tags: #LEGGI UN LIBRO

...Dopo aver letto questo breve elenco dei suoi
"ricordi", quasi automaticamente è venuta anche
a me la voglia di raccontare la mia "attività"
dietro quelle quinte, a quelle quinte più profonde
e fantasiose di bimba e poi anche di quelle
emotive: finché stai dietro alle quinte, hai solo
paura.
In casa nostra, trovare la sala d'entrata
trasformata in una piazza o in una cucina, tutto
finto, di scena, pareva fatta per noi bimbi perché
finta; ho colorato di verde quelle cassette della
frutta diventate persiane e ho subito imparato che
nulla si crea e tutto si trasforma che per noi
genovesi equivale a dire: «Non si caccia via
niente... può sempre venirti bene.»
Ho visto risolvere l'impossibile pren-dendo quel
“coso” strano dentro a quella cassetta di tante
“cose” strane... guai a toccarle. Andare con il
papà, nel suo furgoncino, era un gran
divertimento perché sia me e sia mio fratello ci
infilava tra le quinte. Costruire una nicchia di
ossigeno tra le tavole e mettere qualche coperta
affinché il sedere non patisse il lungo viaggio per
noi era un gesto d'amore. Certo! perché riusciva a
trovare il modo di portarci a vivere questa grande
avventura! roba che oggi, come minimo, gli
toglierebbero la patente. Era bello perché
mangiare in quelle tavolate da festa dell'Unità,
per noi era come andare al ristorante.
Appena arrivati il papà beveva per riprendersi dal
viaggio, e a noi toccava minimo minimo il gelato
se non già le frittelle, poi cominciava la scuola di
imprecazioni, cioè cominciava il montaggio delle
quinte... per un po' cercavamo di renderci utili,
ma in realtà peggioravamo la situazione e,
quando le imprecazioni si facevano più pesantemente
colorate... sì, era meglio andarsene...
Che bellezza liberi dal controllo degli adulti:
scorrazzavamo per la festa o sagra che sia
trovando nuovi amici.
Ad un certo punto arrivavano tutti gli attori,
all'inizio tranquilli quasi spavaldi scherzavano
con noi poi piano piano la tensione saliva...
qualcuno, discutendo, quasi arrivava al litigio; e
anche qui era meglio andarsene di nuovo.
Seduti sulla nostra postazione pronti ad attendere
l'inizio ci sentivamo friggere perché già avevamo
respirato tutta la tensione del “prima di
cominciare”.
Appena finalmente iniziava la commedia,
passava il friggimento e cominciava il
divertimento.
Noi le commedie le sapevamo tutte a memoria!
Quindi aspettavamo l'errore: vederli arrampicarsi
per trovare una soluzione a me divertiva un
sacco, vedere gli adulti in trappola soddisfa la
parte sadica di ogni bimbo. Sapere le loro parti a
memoria era anche strumento per prendere in
giro gli attori che per noi erano solo gli amici di
mio padre, non attori, quello di salire sul palco
era solo il gioco dei grandi. La vittima preferita fu
la figlia della Rosetta... ancora adesso ogni tanto
capita di ricordarla recitando ancora la sua
parte: “orriæ savéi perché sce i giornaletti che a-e
figge comme mì fan sempre lëze... gne gne gne
gne...”
C'era un altro “patire” che è solo del bambino: per
me vedere mio padre che litigava sul palco perché
era nella parte, mi faceva soffrire, mi sembrava
arrab-biato veramente.
Piano piano negli anni è toccato pure a me salire
sul palco e per mia fortuna solo per cantare,
anche perché se ne stava approfittando del fatto
che io cominciassi a suonare la chitarra, e non
ricordo nessuna paura a cantare canzoni tipo
“Gorizia”. Canzone di guerra certamente non
adatta ad una bambina, ma io avevo capito
perfettamente cosa stavo cantando e quindi lo
facevo con la massima serietà; ho percepito
subito le vibrazioni delle emozioni che rimbalzano
tra pubblico e voce ed ancora oggi vado sempre a
ricercarla affinché la magia avvenga.
Dopo una lunga pausa di più di 20 anni, il papà
a sorpresa risale sul palco e rifà tutte le vecchie
commedie con altre compagnie, ma per me
nessuna reggeva il confronto con la prima, fino a
quando non crea la Compagnia del Teatro
Ruspante dove si respira la cara vecchia aria di
amicizia tra gioie e dolori e se le riadatta alle
nuove figure. Ora la mia parte entra in gioco per
fare le musiche ai suoi testi, le faccio e le canto ed
ora con me c'è anche mia sorella Greta, che non
era ancora in vita al primo round.
Insieme abbiamo preparato la nostra parte per la
commedia più amata anche dai vecchi amici che
tornano sul palco con mio padre come il caro
vecchio Elvidio, sempre nella sua parte di nonno
nella commedia “Tanto pe no scordäse”; vi
assicuro che tutto era vissuto con grande
emozione e rispetto per questo testo che ricorda
che la guerra non è bella!
Ecco, la sfortuna di cantare è che ti tocca sempre
cominciare e quindi ora tocca a me!
Una volta arrivai tanto in ritardo che mi
dimenticai la cinghia per la chitarra, quindi per
l'arte del “tapullo” con una corda cominciai
appunto a “tapullare” ma intanto la chitarra era
scordata e il papà all'ultimo momento mi propone
di partire dal fondo della sala, cantando per poi
salire sul palco e scomparire dietro le quinte... ma
intanto la chitarra era scordata ed io tanto agitata
da non riu-scirla ad accordarla in tempo,
nemmeno mia sorella accorsa ad aiutarmi riesce
ad accordarla quindi è tardi tutti son pronti:
ormai devo andare! Si va in scena!
Allora escogito la soluzione di mettermi la
chitarra sulle spalle alla cow boy e con
disinvoltura cammino cantando nei corridoi tra il
pubblico come se nulla fosse, ma a tradirmi, c'è
una lunga corda attaccata alla chitarra che vedo
solo alla fine, quella corda che mi doveva servire
per fare la cinghia me la dimenticai e appena
svoltai dietro alle tende la vidi e cominciai a
tirarmela su. La trascinai lungo tutto il teatro...
come una coda! Tra il pubblico si sentiva
ridacchiare.
Ora torno bambina e vado tra i professionisti,
dove mio padre aveva la sua parte da narratore,
narratore e traduttore: aveva tradotto in dialetto
genovese la “Histoir du surdat”, sentii per la
prima volta parlare del regista e ne ricordo
ancora il nome da quanto si capiva l'importanza e
la fama di questo regista, ma la meraviglia è che
c'erano orchestra e ballerini! Noi bimbi potevamo
girare, bastava non rompere le scatole, le prove si
facevano dentro un capannone gigante, c'era
spazio per tutti ed anche altri avevano dei figli da
piazzare! Stavamo incantati a sentire l'orchestra
quasi più ipnotizzati da quell'oggetto misterioso
che era il metronomo che dalla musica, anche se
sortiva un certo effetto sentire la potenza del
violino: come poteva un oggetto così piccolo fare
tanto rumore solo sfregando un bastone su delle
corde? E vedere i ballerini ballare senza musica?
Con quei colpi sordi dati dai piedi sul palco. In
effetti con la musica non si sente tutto quel
baccano! Che i ballerini fossero leggeri come si
vedevano in TV per noi non era già più vero. Poi
c'è sempre il cattivo cioè colui che di istinto i
bambini temono... e questo era un grossone con
tanto di baffoni, era l'addetto alla ruota. Lui con
una corda doveva far girare un enorme cerchio
che a sua volta girava sul palco, per far girare
sopra i ballerini, era una cosa pesantissima e
questo omone faticava molto. Ovvio che uno così,
lo sanno anche i bambini, è meglio farselo amico.
Ed io abile nel fare amicizie, in un momento di
pausa, con il palco vuoto, andai nella postazione
di quell'omone. Vidi la corda e la presi in mano...
era durissima, mi concentrai tanto con uno sforzo
di volontà oltre che di braccia che riuscii a farla
muovere, ed una volta partita riuscii a farla girare
tra lo stupore di tutti... in quella occasione
divenni una leggenda: una bambina
straordinaria-mente forte! Per tutta la mia vita
rimasi una donna straordinariamente forte!
L'omone coi baffi divenne amico, anche se lo
prendevano in giro per l'accaduto.
Il teatro fu il modo di mio padre per raccontare
una memoria, la memoria della sua vita, che era
anche quella di un popolo: la guerra, il lavoro, la
casa, la coppia, la famiglia, Genova e il suo
dialetto. Un teatro di dura denuncia a momenti
drammatica, perché reale, ma anche su tutto
ironizzava per i suoi paradossi, potevi ridere della
fatica del lavoro, come dei dolori della guerra,
perché nella vita per poter sopportare gli abusi e
i soprusi quotidiani ci tocca imparare a riderci
sopra e a vederci, ahimè, il suo lato positivo. La
lotta con la piazza oltre che utile è anche
divertente! Questo l'ho imparato subito: infatti
oggi, dopo 20 anni di dura vita in campagna, ho
fatto la contadina, ora sono anch'io a cantare e a
far spettacoli in giro e racconto della guerra, del
lavoro, la casa, la coppia, la famiglia, di Genova e
il suo dialetto. Un teatro di dura denuncia e a
momenti drammatico perché reale, su tutto
ironizzo, rido della fatica del lavoro, e dei dolori
della guerra, perché nella vita, per poter
sopportare gli abusi e i soprusi quotidiani, mi è
toccato imparare a riderci sopra e a vederci,
ahimè, il lato positivo, e nelle piazze con tanti
giovani amici pieni di rabbia riusciamo a divertirci
e a unirci nonostante tutto!

TITOLI COMMEDIE E BREVE DESCRIZIONE A QUESTO LINK

Quinte di bimba (racconto)

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